L’esposizione, a cura di Valentina Greco, restituisce in un racconto per immagini la storia di Palermo dagli anni ’50 al 1992. Un viaggio che rivela, attraverso le ricerche e le intuizioni di Enzo Sellerio, Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Fabio Sgroi, Lia Pasqualino una Palermo immaginifica.
Cinque fotografi, cinque sguardi, che hanno indagato con sentimenti diversi l’immaginario poetico di Palermo raccontando una città in continua deflagrazione, e non sempre ricomposta nella sua complessità contemporanea. Oggetto di una visione gentile, giocosa, colta, antiretorica, che è anche acutissima testimonianza della scena sociale degli anni ‘50 e ’60, densa di situazioni stratificate di miseria e degrado ma in attesa di una possibile rinascita civile ed economica, Palermo subisce l’ulteriore assalto degli anni ’70, dei fatti quotidiani di cronaca feroce, fino al 1992, anno in cui sembrava, ancora una volta, che tutto potesse cambiare. Negli stessi anni, la città si lasciava infiltrare dal punk, dalle manifestazioni studentesche, dalle occupazioni, dalle nuove produzioni teatrali, dalla contraddittoria vita politica, e aveva la sua resistenza nella costruzione di un immaginario in uno stato d’eccezione costante, dove la scrittura e la scrittura per immagini sono state attente osservatrici e protagoniste.
Il progetto si avvale della collaborazione dell’Archivio Letizia Battaglia e dell’Archivio Enzo Sellerio.
Inserendosi nel solco di un dialogo di lunga data che Fondazione Merz coltiva con il territorio siciliano, Palermo Mon Amour costruisce lo spaccato di una città dalla storia travagliata, contraddittoria e crepitante di energie sommerse.
Con il sostegno di Regione Piemonte
con il patrocino di Città di Palermo
Si ringrazia Città di Torino e Kuhn & Bülow, Planeta
Uno speciale ringraziamento ai Patrons Fondazione Merz
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BIOGRAFIE
ENZO SELLERIO (Palermo, 1924 – 2012) Fotografo, editore. Nato a Palermo in una famiglia colta e cosmopolita – il padre, fisico dell’università, la madre ebrea russa docente della sua lingua nell’ateneo palermitano – si forma negli anni ferventi della Sicilia liberata e del dopoguerra. Laureato in giurisprudenza a soli 20 anni, a 23 è assistente di Diritto Pubblico, ma scoprirà presto la fotografia come mezzo di informazione, di denuncia sociale e narrazione poetica. Fotografa dal 1952.
Nel 1955 realizza il suo primo reportage: “Borgo di Dio”, pubblicato da Cinema Nuovo e considerato uno dei capolavori della fotografia neorealista italiana; qui l’impegno apostolico di Danilo Dolci nella denuncia delle condizioni in cui vivevano molti abitanti dei paesi siciliani, come Partinico e Trappeto, si traduce attraverso l’obiettivo di Sellerio in quelle che sono ancora oggi tra le più crude e significative immagini di reportage sociale del secondo dopoguerra.
Nel ‘62 è chiamato a far parte, unico italiano, del EMP, European Magazine Photographer. Nel 1963, con Hiroshi Hamaya e Willy Mc Bride, realizza per la televisione nazionale tedesca (ZDF) un documentario fotografico sulla Germania Federale, dal quale sarà tratto il film Mit offenen Augen (Ad occhi aperti).
Le sue fotografie sono state pubblicate nei più importanti periodici dell’epoca, tra i quali: Il Mondo, Sicilia, Pirelli, Panorama, Twen, Life, du, The Times, Fortune, Vogue francese e americana
A New York, tra il ’65 e il ’66, alloggiato al mitico Chelsea Hotel – ritrovo di intellettuali e artisti -, entra in relazione con alcuni tra i principali protagonisti della scena culturale di quegli anni, ritraendoli per le riviste americane e per proprio conto nella sua popolosa galleria.
Si avvicina all’attività editoriale nel ’67. Nel ’69 – insieme alla moglie Elvira Giorgianni – fonda la casa editrice che porterà il suo nome. Con gusto rigoroso, progetta e cura i libri d’arte e fotografia della casa pensandoli in funzione delle immagini, e inventa la grafica di tutte le collane, e tra tutte, La memoria, la collana blu, caratterizzando decisamente l’immagine che tanto ha contribuito alla fortuna della sua impresa. Fino alla fine sostiene con grandissimo impegno la salvaguardia del patrimonio artistico, non solo fotografico, non solo siciliano. Pur concedendosi qualche deroga – alcuni servizi fotografici e rare incursioni nel colore –, l’editoria diventerà la sua attività principale, ma le sue fotografie continueranno e continuano a girare in Italia e all’estero in esposizioni personali e collettive e tra le pagine dei volumi monografici intanto a lui dedicati, in antologie di grande formato, nelle copertine dei tanti autori ed editori europei che scelgono i suoi scatti per i propri libri.
“Il suo linguaggio – dirà Consolo – si regge sul difficile equilibrio tra la parola e la cosa, tra il significato e il significante, tra l’informazione e l’espressione; tra la storia e la poesia, infine. Non c’è la violenza, non c’è la lupara. Ma c’è l’umano, il troppo umano. C’è amore, pietas, verso tutte le creature ritratte: verso i bambini, le donne, i lavoratori. In contrappunto, fuori dall’impaginazione delle foto, sono la violenza, il crepitare del fucile, c’è l’offesa alle nobili creature ritratte”.
Il suo sguardo sulle cose e sugli altri, tra melanconia e levità, rigore e ironia, contribuisce fortemente a creare un’iconografia antiretorica della Sicilia, e testimonia un’irripetibile vocazione al racconto che in molti definiranno di “uno scrittore per immagini”.
La traccia da lui segnata rimane unica e inconfondibile nella storia della fotografia italiana e nel panorama dell’editoria contemporanea.
LETIZIA BATTAGLIA (Palermo, 1935 – 2022) Inizia a collaborare in qualità di giornalista per il quotidiano L’Ora di Palermo nel 1969; in questo contesto sperimenta per la prima volta la macchina fotografica e diventa una delle prime fotoreporter donne in Italia. Nel 1971 si trasferisce a Milano, città in cui ha l’occasione di fotografare il fermento culturale sviluppatosi intorno alla Palazzina Liberty e intellettuali come Pier Paolo Pasolini e Franca Rame, dove collabora con varie testate, per poi tornare nella sua Palermo nel 1974 per dirigere il team fotografico de L’Ora fino al 1991, fotografando alcuni tra gli episodi più significativi della storia repubblicana quali omicidi di magistrati, presidenti e arresti di boss mafiosi. Attraverso le sue foto in bianco e nero viene raccontata Palermo nella sua miseria e nel suo splendore, non solo la morte ma anche lo sguardo di donne e bambini, le sue tradizioni, i suoi vicoli, le feste e i lutti, riuscendo ogni volta a incapsulare l’odore e il rumore di una città pulsante e costantemente viva. La sua sensibilità verso la cronaca le vale il premio W. Eugene Smith per la fotografia sociale consegnatole a New York nel 1985. Alla fine degli anni Settanta crea con Franco Zecchin Il laboratorio d’If, dove si sono formati fotografi e fotoreporter palermitani. Negli anni Ottanta fondano insieme la rivista GrandeVù, grandezze e bassezze della città di Palermo. Negli anni Novanta continua la sua storia editoriale con la nascita Mezzocielo, una rivista, fondata con Simona Mafai, per donne e ideata da donne, e con la casa editrice Edizioni della battaglia. Nel 2017 ha inaugurato a Palermo, all’interno dei Cantieri Culturali alla Zisa, il Centro Internazionale di Fotografia da lei diretto.
FRANCO ZECCHIN (Milano, 1953) Nato nel 1953 a Milano, nel 1975 Franco Zecchin si trasferisce a Palermo, dove diventa fotografo professionista, lavorando sulla mafia, la corruzione politica e le condizioni sociali in Sicilia. Nel 1977, con Letizia Battaglia, crea il primo Centro Culturale per la Fotografia situato nel sud dell’Italia e, nel 1980, è tra i fondatori del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato. Fa teatro e realizza film all’interno dell’ospedale psichiatrico di Palermo.
Nel 1988 diventa membro “nominé” dell’agenzia Magnum. Tra il 1989 e il 1991 conduce un’inchiesta fotografica sui rapporti tra inquinamento industriale e salute pubblica in Slesia (Polonia). Negli anni Novanta svolge una ricerca fotografica sul nomadismo e l’uso delle risorse ambientali lavorando su una decina di società in diverse parti del mondo.
Oggi vive e lavora in Francia dove, insieme alle attività di formazione alla fotografia, continua a esplorare il rapporto tra territorio e pratiche sociali attraverso la fotografia. Tra i suoi lavori fotografici più recenti, un’inchiesta in Sardegna sulle dinamiche economiche e politiche di produzioni alimentari locali.
Le sue foto fanno parte delle collezioni dell’International Museum of Photography di Rochester, del MOMA di New York e della Maison Européenne de la Photographie a Parigi oltre a essere esposte in festival e mostre individuali e collettive.
FABIO SGROI (Palermo, 1965) si avvicina alla fotografia nel 1984 come mezzo attraverso cui ritrarre i suoi amici e la cornice underground che caratterizzava Palermo in quegli anni, dal 1986 inizia a collaborare per circa due anni col quotidiano L’Ora, si avvicina quindi a un approccio giornalistico declinando il suo sguardo a fatti di cronaca e reportage. Palermo, e la Sicilia in generale, costituiscono la terra e il campo di indagine in cui si mescolano la sua capacità e interesse di osservazione di momenti privati con il flusso di vita e morte che scorre per le strade, gli angoli e i vicoli. Le ricorrenze annuali e le cerimonie religiose si inseriscono nelle sue fotografie delineando una tensione nervosa, il fermento di qualcosa che costantemente si evolve, da cui si percepisce l’esplosione e la pulsione a cui sempre tende Palermo. Viaggia e lavora attraverso l’Europa e in diverse parti del mondo. Nel 2000 si concentra anche sul formato panoramico dedicandosi al paesaggio urbano e all’archeologia industriale. Prende parte a mostre collettive ed espone in mostre personali, in Italia e all’estero. La scelta dell’utilizzo esclusivo della pellicola in bianco e nero è dovuta alla volontà di conferire maggiore forza e pregnanza alla realtà catturata, rendendola eterna e carica di fascinazione.
LIA PASQUALINO nata a Palermo in una famiglia di artisti e intellettuali, la nonna era la pittrice Lia Pasqualino Noto, del gruppo dei Quattro. Il padre Antonio, medico e antropologo, ha fondato con la moglie Janne Vibaek, a Palermo, il Museo Internazionale delle Marionette.
Diplomata all’Istituto di Patologia del libro di Roma e dedicatasi alla professione di restauratrice della carta, nel 1986 si iscrive al corso di fotografia tenuto da Letizia Battaglia e Franco Zecchin, che segna uno spartiacque nella sua carriera. Da quell’anno si è dedicata esclusivamente alla fotografia alternando il reportage alla fotografia di scena. La macchina fotografica, infatti, diviene lo strumento di conoscenza del mondo facendo sentire Lia Pasqualino a suo agio come non era mai stata; si dedica così esclusivamente alla fotografia, cimentandosi in diversi generi dal reportage, al ritratto, alla fotografia di scena, nel teatro come nel cinema. Attraverso le sue fotografie si alternano sguardi profondi, visi solcati da emozioni e pensieri in cui si percepisce l’attenzione e l’importanza che Lia Pasqualino dedica al tempo d’attesa dello scatto. Questa riflessione sul soggetto e sui rapporti si ritrova anche negli scatti che incorniciano spaccati della città di Palermo evidenziando la sua teatralità e autenticità, portandosi sempre dietro lo sguardo morale ereditato da Letizia Battaglia.