Il titolo della mostra, L’altro, lo stesso, riprende quello di una raccolta di poesie di Jorge Luis Borges, dedicata al processo di ricreazione con cui la natura alimenta continuamente la nascita di nuova vita. Il progetto espositivo si concentra non tanto sulle singole opere d’arte intese come oggetti statici, quanto sulla proposta al pubblico di un’esperienza dinamica in cui i lavori selezionati, in quanto forme viventi in continua evoluzione, si prestano a essere nutrimento l’uno dell’altro in un processo di cura reciproca che germina reazioni continue.
Il percorso espositivo include opere degli artisti internazionali Lida Abdul, Rosa Barba, Alfredo Jaar, Emily Jacir, Joan Jonas, Mario Merz, Marisa Merz, Lawrence Weiner e un’opera sonora del duo di artisti internazionali ma palermitani d’adozione Silvia Maglioni e Graeme Thomson. L’opera, commissionata appositamente per questa occasione e allestita nello spazio esterno dell’edificio, accoglierà i visitatori accompagnandoli verso l’ingresso. Pur presentate come parti di un autentico ecosistema, le opere mantengono ciascuna piena autonomia di linguaggio: il dialogo tra diverse generazioni di artisti, distanti nel tempo e nelle intenzioni culturali, diventa una rete collettiva in cui ogni intervento contribuisce al concetto e alla funzione dell’insieme.
Alcune delle opere selezionate sono state rimodulate appositamente per la mostra e parte di esse testimoniano gli interventi della Fondazione Merz a Palermo degli scorsi anni. La maggior parte dei lavori di Marisa Merz presentati in L’altro, lo stesso sono inediti. Tra le opere storiche firmate dall’artista anche il video La conta del 1967 che si affianca alla rassegna di video storici d’artista realizzati negli anni Settanta da Gerry Schum per la serie Identification, allora destinata alla televisione, che completa il percorso espositivo.
Perno dell’allestimento è Pietra serena sedimentata depositata e schiacciata dal proprio peso, così che tutto quello che è in basso va in alto e tutto quello che è in alto va in basso, soprelevazione e opera incerta di pietra serena di Mario Merz. La storica opera dalle dimensioni monumentali esprime i quanto mai attuali concetti di sostenibilità attraverso l’impiego di frutti e verdure che, nel progetto di mostra, entreranno a far parte di un ciclo di trasformazione e di nutrimento attraverso la condivisione delle pratiche sociali di Noz – Nuove Officine Zisa, i cui spazi sono contigui a quelli dello ZAC.
Il film letter to a friend di Emily Jacir, sarà proiettato il 27 ottobre nella sede dell’edizione 2021 del Festival Letterature Migranti, in un’ottica di collaborazione trasversale con i luoghi e le attività del territorio.
Nel suo insieme il programma di ZACentrale esplorerà e rifletterà sull’ambiente, promuovendo in ogni ambito pratiche responsabili e sostenibili: “La riflessione dalla quale sono scaturite e intorno alla quale verranno organizzate le varie parti del progetto di ZACentrale nascono da un tema straordinariamente urgente, quale quello dell’ambiente e del ruolo che in esso gioca l’uomo quale agente di trasformazione. I termini di coltura e cultura condividono ben più di un’etimo comune. – commentano le curatrici Beatrice Merz e Agata Polizzi – Siamo convinte del fatto che pratiche ispirate a criteri di responsabilità e sostenibilità debbano informare non soltanto il rapporto con l’ambiente naturale ma anche innervare tutta la produzione culturale e la sua filiera di distribuzione. L’arte, se considerata nutrimento da coltivare e far crescere, ritrova il proprio senso più autentico, quello di bene comune da condividere. Questa riflessione non può che irrompere in scena fin dalla mostra inaugurale”.
Il progetto ZACentrale vuole trasformare la ZAC – Zisa Arti Contemporanee in una vera e propria centrale energetica e al tempo stesso in una stazione da cui possano prendere le mosse viaggi che siano a un tempo partenze e ritorni, accoglienze e slanci. Lungi dal limitarsi al solo spazio della ZAC, il programma prevede infatti percorsi, relazioni e contaminazioni tra varie parti della città di Palermo: dagli antichi palazzi alle estreme periferie, dai luoghi del lavoro a quelli dello sport e dell’aggregazione, senza escludere le aree della cosiddetta marginalità.